Nella scorsa rubrica vi ho raccontato di aver introdotto nuovi strumenti ad elevata tecnologia per la valutazione del passo descrivendo, in modo sintetico, sia le caratteristiche che i potenziali benefici derivanti dalla condivisione col paziente in tempo reale della fase di analisi.
A più di un mese di distanza ho realizzato molte valutazioni e vi assicuro che l’esperienza ha superato le mie aspettative.
Mi spiego meglio.
Da anni utilizzo strumenti tecnologici per l’analisi sia statica che dinamica dei miei pazienti, ero quindi ben consapevole del vantaggio che macchinari più evoluti avrebbero portato al lavoro di valutazione e ne ho voluto parlare in più sedi – questa rubrica, nei social media, ecc. – per trasmetterlo nel modo più esteso possibile. Mai mi sarei immaginato l’effetto che queste analisi, condivise in tempo reale coi pazienti, possono esercitare.
Racconterò un caso emblematico che sintetizza in modo efficace quanto un’immagine possa essere di aiuto nel rendere un individuo partecipe della soluzione a un problema.
Poche settimane fa sono venute da me una madre e la figlia adolescente per fare un check up posturale e un’analisi del passo, in quanto la madre scrupolosa aveva il sospetto che la figlia non camminasse correttamente. La ragazzina appariva come spesso in questi casi, un pò distante e poco cooperativa. L’idea del plantare, inoltre, evocava in lei delle restrizioni sulla scelta delle scarpe che la rendevano nervosa e di fatto contraria. A poco sarebbero servite tutte le parole che si dicono in questi casi. Un paziente demotivato recepisce di solito molto poco di ciò che viene detto.
Vista la situazione, decido di passare all’azione e chiedo alla giovane paziente di salire sul tapis roulant. Una volta azionato il movimento sulla camminata, chiedo alla ragazza di guardare il monitor durante l’esame. All’inizio tace, poi comincia a fare domande, come se la madre non fosse presente. Si rivolge direttamente a me adesso, la sua curiosità aumenta nel corso della camminata.
È stupita di vedere se stessa da fuori, comincia a notare degli aspetti e chiede confronto. Rispondo puntualmente alle domande e capisco che il suo atteggiamento è cambiato.
Alla fine dell’esame espongo le stampe che illustrano i particolari dell’analisi e la ragazza acconsente a far realizzare i plantari. Dò appuntamento per la settimana successiva, per il ritiro e la prova finale dell’efficacia.
Simpaticamente la giovane mi saluta e mi sfida sul risultato.
La settimana successiva tornano madre e figlia con un paio di scarpe nuove con allacciatura, per il ritiro e la prova del 9.
La ragazza sogghigna scherzosamente quando sale sul tapis roulant dopo aver indossato i plantari. Mi rendo conto che ricorda tutto di come si azioni il tapis roulant e lei stessa vuole interagire coi pulsanti.
Parte la camminata, la ragazza è concentrata sul video. Guarda e mi chiede conferma. Io, soddisfatto, le dico che adesso va molto meglio. La madre in disparte abbassa lo sguardo e sorride.
La figlia si gira verso di lei e dice: ”Mamma guarda là, sembro molto più leggera nel camminare vero? E se facessimo i plantari anche per andare a camminare in montagna? Magari smetto di prendere storte… Signor Gasparini posso impostare la salita e vediamo?”.
Rispondo “Via le scarpe e i plantari da tutti i giorni, adesso si cambia contesto”.
Inizia una nuova valutazione specifica che porterà a creare plantari da escursione.
La madre annuisce, mi ringrazia di nascosto alla figlia, che con la fantasia è già in montagna.
Capire è il primo passo per cambiare e risolvere.