In ogni campo ci sono argomenti più conosciuti di altri e la mia sfera di attività – posture e piedi – non fa eccezione. A differenza dei più noti piedi piatti – nel senso letterale del termine – il piede cavo è un problema di cui si parla meno ma che può essere altrettanto limitante per chi ne soffre.
Si tratta di una condizione congenita o acquisita in cui il piede è caratterizzato da un’accentuata arcata plantare. Le cause e i sintomi variano a livello individuale ma in generale questa condizione porta con sé alcune problematiche ricorrenti. Tranne i casi specifici in cui sia necessario un intervento chirurgico, il piede cavo soprattutto quando è determinato da uno sbilanciamento dell’avampiede, può essere attenuato nei suoi effetti dall’utilizzo di un plantare.
Per dare un’immagine esplicativa del fenomeno basti pensare a quelle impronte in cui sono visibili solo la parte anteriore del piede e il solco del calcagno. E’ nello spazio vuoto che risiede il problema.
La mancanza di appoggio intermedio in taluni casi sollecita a tal punto le estremità – arco plantare e calcagno – da comportare vere e proprie alterazioni del piede e delle fasi del passo.
Coloro che sono afflitti da questa problematica non di rado presentano stati acuti di metatarsalgia o di spina calcaneare o anche piede supinato – rivolto eccessivamente verso l’esterno – o pronato – sbilanciato verso l’interno –.
Dolore e difficoltà deambulatoria sono le conseguenze più dirette di questo stato di cose. Quel vuoto al centro grava sulle strutture circostanti e col tempo ne compromette la funzionalità.
Cosa si può fare in questi casi?
Al netto delle situazioni in cui il medico ortopedico ritenga opportuno intervenire chirurgicamente, in molti altri casi si può “colmare il vuoto” facendo ricorso a un plantare personalizzato che vada a compensare nel modo più opportuno la mancanza di appoggio.
Come si procede?
La prima cosa da fare è una rilevazione delle impronte a cui fa seguito l’analisi del passo computerizzata e una valutazione posturale che metta in luce come il corpo abbia recepito la mancanza di appoggio della parte centrale del piede.
E poi?
Successivamente i dati raccolti vengono rielaborati per creare il supporto plantare più adeguato in base alle caratteristiche individuali della persona. Una volta trasferiti questi elementi al macchinario che crea il plantare si procede alla prova e alla rifinitura del supporto.
Tutto qua?
Si in buona sostanza molti di questi casi hanno un’evoluzione sorprendentemente semplice. Il paziente infila il plantare nelle scarpe, e tipicamente avverte un immediato sollievo, prova a camminare e sente che tutto è cambiato. Da quel momento occorre solamente eseguire regolari controlli alla soletta per assicurarsi che stia funzionando nel modo opportuno. Recuperando la naturalità del passo tutto l’apparato di locomozione ne beneficia e finalmente i piedi non dolgono più.
Prossimamente vi parlerò di piedi piatti e relative soluzioni, nel frattempo vi auguro anticipatamente buone feste.
Pierpaolo Gasparini