Sapete cosa facciamo stavolta? Vi racconto di una cosa fatta in silenzio. O meglio vi faccio partecipi del dialogo silenzioso che ogni giorno faccio con i piedi dei miei pazienti e di come li aiuto a dirmi quello che loro non possono dire a parole. Perché lo faccio? Semplice, perché sto dalla parte dei piedi.
Anni fa mi capitò di dover portare uno dei miei cani, d’urgenza, dal veterinario dopo la passeggiata serale, perché non riusciva a stare sulle zampe posteriori. Per sua naturale curiosità il maschio dei miei tre cani aveva annusato una sostanza psicoattiva nel parco e il suo sistema nervoso aveva reagito a questo evento in modo macroscopico.
Ecco come è andata:
All’ingresso della clinica, alle 3 del mattino mi presento col cane e la veterinaria scorbutica mi chiede cosa voglio. Eh, a me sembrava evidente che se ero lì c’era un motivo, volevo raccontare, sfogare la paura, essere rassicurato, mettere al sicuro il mio Birillo che si accasciava al suolo.
Lei, la dottoressa mi dice: ‘lo porti su lei in braccio. Sorpreso ma zelante prendo in braccio un cane di quasi 30 kg e faccio due rampe di scale. In quel momento non sapevo di aver superato la prima fondamentale prova. Avevo dimostrato di voler cooperare secondo le sue regole. Poi il distacco. La veterinaria brusca ci dice di allontanarci dal cane e comincia ad osservarlo a interagire in modo garbato e empatico invitandolo a compiere dei gesti, camminare. Lei intanto osserva con un’angolatura particolare.
Si alza e si abbassa, fa cose e intanto registra, valuta, soppesa. Poi un piccolo gesto di affetto e solidarietà verso Birillo e ci dà la diagnosi. Starà bene ma deve essere ricoverato per una notte per i trattamenti opportuni. Ecco da quel momento la Dottoressa diventa socievole, parla con noi, ci chiede, conversiamo, ci spiega cosa farà. Si mette al lavoro col cane mentre noi osserviamo le sue mosse sicure. Il finale ve lo racconto dopo, giusto il tempo di fissare ciò che conta di questa esperienza per voi e per me come professionista dalla parte dei piedi.
Nel mio lavoro quotidiano a contatto con i pazienti anche io mi attengo in fondo alle stesse regole della veterinaria, forse meno bruscamente ma lo schema è simile: prima osservare, sempre osservare senza farsi distrarre dalle dovute conversazioni. E poi osservare tutto, spalle, collo, pieghe del viso, bacino, gambe, ginocchia, caviglie, scarpe – ah guarda un po’, uhm- e il passo gesto locomotorio che muove tutto quel sistema incantevole che è il corpo umano. Proprio lui il terminale e motore fisico delle nostre intenzioni.
Intanto si parla, chiedo meno di quello che mi raccontano per continuare a osservare. Il paziente mi dice che nella vita fa questo mestiere o quell’altro e poi quali problemi – a volte mischia cause e conseguenze – e come se lo spiega lui e cosa si aspetta. Io in genere ho già più o meno concluso la mia valutazione ma lascio che il paziente mi aggiunga dei particolari utili. Parte a quel punto la vera e propria raccolta delle “prove”.
Analisi computerizzata del passo camminando sulla pedana rialzata, impronte statiche e dinamiche, misurazione dei dislivelli posturali, analisi dei carichi e della catena cinetica. Distanze opportune e non tra ginocchia, caviglie, altezza delle spalle, braccia più o meno vicine al corpo, collo e quant’altro occorra. E tra poco ci sarà anche un filmato che mi aiuterà a corroborare la valutazione e condividere consonanze o divergenze rispetto alla percezione del paziente.
Stampo le immagini, analizzo, rifletto e fornisco il mio punto di vista. Talvolta aggiusto qualche percezione iniziale ma soprattutto convergo col paziente, lo coinvolgo e parliamo del dopo. Con l’ausilio delle tecniche di imaging – per immagini – trasferisco questi elementi e preparo la soluzione che la fresa cad-cam riprodurrà fedelmente nella stanza accanto il laboratorio: tecnologia, polvere, tocco d’artigiano e materiali all’avanguardia per garantire l’igiene e la sicurezza da batteri e funghi.
Niente in fine Birillo fu aiutato ad eliminare le sostanze e dopo una notte di clinica tornò a casa. La veterinaria a quel punto lo chiamava affettuosamente tortellino ….
Giuro che saprò come salutare opportunamente i miei pazienti, quelli che stanno sopra ai piedi, ma dentro di me proverò la soddisfazione di aver compreso quello che la loro postura e i loro piedi mi dovevano dire e soprattutto il piacere di aver dimostrato, carte alle mani, il mio punto ai pazienti. Esco leggeri dopo la consegna del plantare, talvolta increduli, sempre soddisfatti.
Nei prossimi articoli racconterò, a mo’ di divertimento istruttivo, una serie di check up a partire da ciò che vedo per arrivare alla soluzione. Sperò così di aiutarvi a riconoscere gesti, movimenti, qualche dolore ma soprattutto la possibilità di porvi rimedio. Alla fine svelerò professione età e specifico problema dei pazienti incontrati e silenziosamente intervistati.
Così tanto per creare un po’ di suspense estiva e aiutare tutti noi a riconoscersi negli altri.
Buone vacanze e alla prossima puntata.
Pierpaolo Gasparini.